Sky fall

Giovanna Predoni
21/05/2021

La perdita della serie A. Il flop di Tv8. La fibra che non decolla. I pesanti tagli al personale. Ecco perché dopo l'addio di Ibarra l'azionista Comcast ha deciso di stringere la presa sulla controllata italiana.

Sky fall

Dicono che a Filadelfia, ai piani alti del più alto grattacielo della città, ci stiano pensando seriamente. Il 52enne Maximo Ibarra, che ha lasciato Sky Italia dopo appena nove mesi da quando aveva preso il posto di Andrea Zappia, potrebbe non avere un successore. Nessun nuovo amministratore delegato per l’azienda, anche se qualche contatto in questo senso era stato avviato da Heidrick & Struggles, la società di head hunting guidata in Italia da Vittorio Veltroni. Si fa strada oltreoceano l’idea di una soluzione diversa, che potrebbe concretizzarsi nella nomina di un ‘country manager’ con poteri limitati e alle dirette dipendenze del nuovo ceo di Sky Group Dana Strong. Un commissariamento nel commissariamento, in effetti. Mrs Strong (nomen omen), una manager nata in Ohio e laureata in Pennsylvania, è in Comcast dal 2018. In un batter di ciglia ha fatto le scarpe all’ex intoccabile Jeremy Darroch, “promosso” chairman. Ma la colonizzazione americana per Santa Giulia potrebbe essere solo l’epilogo di A Series of Unfortunate Events (per parafrasare la produzione dell’arcinemica Netflix).

Sky Italia nel mirino per il calcio scippato, l’offerta fibra sotto le attese, e il massiccio pianti di tagli

Troppe cose andate male negli ultimi tempi per non aver indotto Strong a mettere nel mirino la controllata italiana. Una su di tutte il calcio: il campionato di serie A scippato da DAZN («Ma abbiamo tre partite in co-esclusiva», magra consolazione), un pezzo di Champions trasmessa anche da Mediaset (altra co-esclusiva, l’inventore di questo ossimoro è un genio) e il resto ce l’ha solo Amazon Prime Video. E poi: l’offerta della fibra che sta dando risultati bel al di sotto delle attese, un enorme investimento fatto con l’ambizione di diventare oltre che media anche tlc company, che era uno dei punto forti del piano Ibarra. E ancora: 3 mila dipendenti e collaboratori su 11 mila da accompagnare alla porta, almeno 400 mila abbonati persi in un anno, quasi 200 milioni di euro di morosità ormai non più recuperabili, clienti trattenuti facendo dumping sull’offerta a suon di sconti e promozioni. E tutto questo per limitarsi all’Italia. Perché se si guarda oltralpe, ci si accorge che il problema riguarda l’intero gruppo europeo.

Sky italia in crisi nel mirino di Comcast
Dona Strong, Ceo del Gruppo Sky (dal sito Sky).

Tra il 2020 e il 2026 si stima la perdita di 4 milioni di abbonati in Europa

Nella cucina del colosso americano, la pay tv (comprata per 30 miliardi di sterline nel settembre 2018, un premio del 125% sui valori di mercato realizzato dell’epoca da Rupert Murdoch) oggi realizza il 6% di margine operativo lordo. Troppo poco per remunerare il massiccio investimento di Comcast. Ed è un vero smacco per il gigante Usa che in casa fa soldi a palate con la tv via cavo e la rete Nbc. Va detto peraltro che il settore della pay-tv “tradizionale” in Europa sembra destinato a un lento ma inesorabile declino. Nel 2020 infatti i ricavi di Sky Group sono scesi a 18,6 miliardi con un margine lordo di soli 2 miliardi, un calo del 37% sul 2019. Assediata dalle OTT globali che investono miliardi in contenuti per poi rivenderli a prezzi stracciati e senza vincoli contrattuali, la pay soffre addirittura più della tanto bistrattata tv generalista gratuita (forse proprio perché è gratuita). Tra il 2020 e il 2026 gli analisti stimano che l’Europa perderà 4 milioni di abbonati nel mercato pay “old style”. E le difficoltà di Sky a livello globale sono lo specchio della crisi del modello anche in Italia, dove il calo dei ricavi potrebbe aggirarsi intorno ai 400 milioni di euro nel prossimo quinquennio.

Serie A: Sky Italia travolta dal ciclone DAZN

Ma potrebbe andare peggio, potrebbe piovere. E in Italia sotto il cielo di Sky si è scatenato il diluvio. Dopo 18 anni di monopolio quasi assoluto, a Santa Giulia il ciclone DAZN (con un inaspettato assist di Tim) ha spazzato via la killer application del campionato di calcio. E Sky ha reagito come un pugile suonato. Prima con una sdegnata quanto inutile missiva inviata alla Lega di Serie A. Poi urlando e strepitando alla concorrenza sleale, minacciando ricorsi e azioni legali, fuoco e fiamme. Infine accontentandosi per 87,5 milioni di tre partite di Serie A condivise con DAZN e Tim. Non esattamente un affarone. C’è poi il capitolo Champions. Per il triennio 2021-2024 Sky pagherà alla Uefa 350 milioni di euro, divisi tra un pacchetto esclusivo satellitare e uno non esclusivo in streaming di 121 incontri annui. Gli stessi 121 match che Mediaset si è assicurata su Infinity per poco meno di 2 milioni euro, cioè spiccioli. Il Biscione trasmetterà in chiaro anche le 17 migliori partite della stagione (finalissima compresa) e le rimanenti 16 saranno esclusiva di Amazon. Un’altra débâcle.

Il flop del canale Tv8 inchiodato all’1,6% di share

E poi ci sono gli investimenti falliti. L’offerta Sky sul digitale terrestre, attrezzata per tentare di rastrellate gli ex abbonati Mediaset Premium, non ha sortito gli effetti sperati. Solo 500 mila abbonamenti rispetto ai quasi 2 milioni dell’ex Biscione. Così come l’esperienza nella tv generalista gratuita con il canale Tv8. Al debutto nel gennaio 2016 il testimonial Claudio Bisio intimava: «Vedrai solo 8!». Non è andata esattamente così. Nonostante titoli di punta dell’intrattenimento Sky come Italia’s got talent, X Factor e Masterchef nei primi mesi del 2021 la share media non si schioda da un non proprio esaltante 1,6%. Il 2 aprile scorso, a nove mesi dal debutto in pompa magna, ha chiuso per bassi ascolti Tg8, il telegiornale di rete. Quattro giorni dopo il programma Ogni mattina, condotto da Adriana Volpe, è stato drasticamente ridimensionato e ridisegnato per cercare di ovviare alla mancanza di pubblico.

La diaspora del top management dei tempi d’oro

Anche il top management dei momenti d’oro ha preso altri lidi. L’ex ad Andrea Zappia è stato “promosso” Chief Executive Continental Europe. Andrea Scrosati ha da tempo trovato casa in Fremantle. Nicola Maccanico è migrato a Cinecittà. Il potente responsabile relazioni istituzionali Riccardo Pugnalin è passato a Vodafone. Via anche Giovanni Ciarlariello, Remo Tebaldi e molti altri boss dei bei tempi che furono. È vero, nelle grandi multinazionali il ricambio dei vertici è continuo. Ma azzerare tutta la prima linea in meno di tre anni è quantomeno singolare. E ancora una volta è l’azionista Comcast a dettare la linea: basta potentati locali, le funzioni operative vanno concentrate in hub europei gestiti da remoto a Londra. E infatti Maximo Ibarra ha lasciato la nave non appena avvistato l’Iceberg. E con l’orchestra che ci accompagna / Con questi nuovi ritmi americani / Saluteremo la Gran Bretagna / Col bicchiere tra le mani.